Donald Trump è diventato il personaggio centrale della politica statunitense attorno al quale tutto ruota. Ma sia che vinca o perda, lo status quo imperiale rimarrà invariato, afferma Caitlin Johnstone.
Mick Hall riferisce del Forum delle Isole del Pacifico che si svolgerà questa settimana in un contesto di violenza latente tra le forze di sicurezza francesi e i manifestanti in Nuova Caledonia.
Molti paesi con governi apparentemente di centrosinistra o di sinistra si sono uniti agli Stati Uniti in proposte che cercano di minare i processi democratici venezuelani.
Washington sta cercando di consolidare Israele come il principale fulcro economico-militare di un ordine regionale guidato dagli Stati Uniti, scrive Tariq Dana.
In Australia, gli Stati Uniti stanno espandendo e riorientando silenziosamente la loro “base di sorveglianza più importante al mondo”, preparandola a combattere una guerra nucleare contro la Cina, scrive Peter Cronau.
Gli Stati Uniti hanno l’obbligo morale di commemorare Nagasaki, ma quest’anno si sono rifiutati di celebrare l’omicidio di giapponesi innocenti difendendo l’omicidio di palestinesi innocenti.
L’impero statunitense ha fatto tutto il possibile per limitare il flusso di informazioni scomode mentre l’opposizione pubblica alla sua criminalità cresce in patria e all’estero.
Sui mondi fantastici dei democratici che cercano di liberare la Palestina dal fiume al mare e dei repubblicani che cercano di trasformare la Casa Bianca in un regime fantoccio di Mosca, scrive Caitlin Johnstone.
Il comportamento dell’impero non cambia più con un nuovo presidente – Trump o Harris – di quanto una società cambi con un nuovo segretario alla reception della sua sede principale, scrive Caitlin Johnstone.